martedì 5 febbraio 2008

MARCELLO VENEZIANI AMMONISCE IL LEADER DI ALLEANZA NAZIONALE GIANFRANCO FINI.

“ CARO FINI, IL ’68 NON POTRA’ MAI ESSERE DI DESTRA.

Ma davvero il ’68 fu un’ occasione perduta per la destra, come sostiene ora Fini?
Ebbrezza romantica. Lo pensavo anch’io, trent’anni fa, quando Fini pensava che il futuro fosse il Duce, Era bello a vent’anni immaginare una destra vivace e spregiudicata, che non asseconda i vecchi arnesi della borghesia e del conservatorismo e scende in piazza, e contesta, e vuol cambiare il mondo.A diciott’anni ero presidente d’assemblea al mio liceo e da ragazzo di destra guidavo l’occupazione. Figliastro del ’68. Leggevo Evola di “Cavalcare la tigre” e pensavo che si dovesse accelerare la dissoluzione e non salvare il salvabile. Ma era una sciocchezza, con una punta di verità. Il movimento a cui diamo il nome del ’68 - ma il ’68, sostengo nel mio libro Rovesciare il ’68, è solo il codice per indicare un clima – non nasce a sinistra, ma nasce anarchico e ribelle: a morte i padri, e in genere i matusa, a morte la tradizione e l’autorità, a morte la borghesia e la società del benessere. Sulla critica alla società borghese ci si può stare, ma da una posizione di destra radicale e rivoluzionaria; sulla critica alla società dei consumi ancora di più. Ma l’impianto parricida del ’68 lo rende incompatibile con il dna di qualsivoglia destra. Il caos può essere un disordine creativo a livello individuale, ma non può essere un progetto politico, di destra per giunta. Ogni sinistra di oggi, da quella americana a quella zapatera, nasce dalle ceneri del ’68 e sostituisce la vecchia tradizione marxista con la cultura della liberazione, anzi con l’intolleranza permissiva, che è il tratto tipico e sessantottardo di ogni sinistra d’oggi.
Chi pensa che fu un errore della destra italiana, e segnatamente del Msi, regalare alla sinistra e al Pci il ’68, dimentica che il movimento sessantottino in tutto il mondo produsse quegli esiti. E che la destra in quegli anni vinse ponendosi come alternativa al ’68. Vinse in Francia con il gollista Pompidou, vinse negli Usa con il reazionario Nixon, persino in Italia la destra di Almirante crebbe in reazione alla ventata contestatrice, e Fini diventò di destra in reazione al ’68; per non dire il lato oscuro della destra, l’aria di golpe che soffiò in tutto il mondo come reazione alla contestazione studentesca e sindacale. Non dimenticate che una destra sessantottina nel ‘900 c’è stata e si chiamò fascismo delle origini, nato da Marinetti e D’Annunzio, che a Fiume fece un ’68 ante litteram.

LA CHIUSURA DEL MSI E IL TERRORISMO

Ma nasceva da una guerra e non da un boom economico, e da una cultura vera; e poi prese un’ altra piega. Certo ci sarebbe voluta una destra dopo il ’68, come fu la Nuova destra, ma Fini e il suo partito l’avversarono. Un conto è dire che la destra di allora, ai tempi del ’68, rispose con un’ ottusa prova di forza anzichè con una cultura adeguata alla provocazione studentesca, diverso è dire che avrebbe dovuto inseguire i capelloni, gli hippy e i contestatori. E quella becera destra di allora continua in quella di ora, chiusa ad ogni respiro culturale. Ma non si poteva sposare un movimento neoborghese e radical che portava in direzione opposta alla destra, la sua gente e i suoi valori. Se ne rese conto pure Julius Evola, incautamente chiamato come testimonial del neo-’68 di Fini: ma Evola scrisse all’ epoca una serie di articoli sul Borghese e poi altrove, per contestare la contestazione. In modo radicale, senza possibilità di equivoci. Ma poi domandiamoci, il movimento mondiale del ’68 che esiti ebbe? Tre esiti. Uno, l’estremismo e l’intolleranza partorirono il terrorismo e gli anni di piombo. Due, la fuga dalla realtà, per inseguire il desiderio, produsse la diffusione della droga. Tre, e fu l’esito principale, la cultura della liberazione del ’68 produsse non solo, ma soprattutto l’attuale deserto cinico e benestante, con la famiglia ridotta a poltiglia, l’ aborto e il sesso come luogo pubblico, la femminilità inacidita nel femminismo, la distruzione della scuola e dell’università, del merito e delle capacità personali, della responsabilità e l’odio per la tradizione. E non scalfì il consumismo, ma ruppe gli ultimi argini per resistere al suo dilagare. Tutto questo piace a Fini e ai suoi elettori? Un conto è riconoscere che il ’68 fu una domanda tradita di autenticità e di libertà, perché aveva nelle sue premesse l’utopia e la prevalenza del desiderio sulla realtà, un altro è difendere il ’68. Un conto è riconoscere che le rivoluzioni non avvengono mai solo per opera di chi le fa, ma anche per declino delle classi dominanti che abdicano per esaurimento, un altro è benedire gli effetti devastanti del ’68.

PALACH, SARKOZY STORIA E PANNOLINI

Se volete difendere il ’68, difendete quello di Praga e di Stettino: Jan Palach vale cento 68ini al potere dei nostri giorni. Su Fini mi convinco sempre di più che la sua destra è una sinistra in ritardo. L’avrei capito vent’anni fa, quando il vecchio Msi era emarginato all’opposizione e doveva liberarsi dal neofascismo. Non sul piano dei principi, che a Fini del resto non interessano, ma dall’efficacia politica. Ma dirlo vent’anni dopo, con assoluta mancanza di tempismo, nell’epoca di Sarcozy e di Ratzinger, il bipolarismo culturale e di elezioni, di dibattito sulla famiglia e sull’aborto, è una sciocchezza suicida. La controprova è lo sponsor, il Corriere della Sera che ha sbattuto Fini 68ino in prima pagina e anziché dare ai lettori un controconto della destra estesa che non la pensa come lui, ha fornito a fianco un piffero di accompagnamento, per elogiare Fini e la sua autodemolizione.
Fini si è bevuto il cervello. E ovviamente non gli è bastato per dissetarsi. Cambi i pannolini alla creatura, piuttosto che i connotati della storia.”

MARCELLO VENEZIANI da “LIBERO” 05/02/08


"Mi vedo costretta a spezzare una lancia in favore del nostro Presidente Gianfranco Fini e per farlo, devo nuovamente avvalermi della forma latina “SEMEL IN ANNO LICET INSANIRE”.
Questa locuzione è legata ad una sorta di rito collettivo che ricorre in molte culture, soprattutto occidentali.
Voglio pensare, dunque, che Gianfranco Fini, appellandosi allo stesso rito liberatorio, che permette ad una comunità di prepararsi in modo gioioso all'adempimento dei propri normali doveri sociali, abbia voluto, almeno per una volta, provare l’ebbrezza di una “stravagante alienazione”, lasciandosi andare, quindi, in affermazioni poco convenevoli."

Francesca Micoccio

sabato 2 febbraio 2008

CARNEVALE: STORIA E TRADIZIONI.

“ SEMEL IN ANNO LICET INSANIRE..."…così sentenziava il filosofo storico latino Lucio Anneo Seneca.
E quale momento migliore, per impazzire, se non il komos, il rito collettivo dell’eccesso e dello stravolgimento dei ruoli?
Stiamo parlando del CARNEVALE…
…maschere grottesche, costumi variopinti o eleganti, stelle filanti e coriandoli.
Ma anche elaborati carri allegorici, scherzi, canti e danze. Il tutto condito da dolci quali frittelle, chiacchiere, castagnole… Questi gli ingredienti principali di una festa nata più di quattromila anni fa, in Egitto, e dedicata alla dea Iside.

Diffusasi presso i Greci come festività dionisiaca e falloforico-orgiastica e divenuta presso i Romani, pretesto per i Saturnali (grandi feste popolari), il CARNEVALE si è, infine, diffuso in tutto il mondo, diversificandosi notevolmente da Stato a Stato, ma anche da Regione a Regione.
Ai nostri giorni, il CARNEVALE, è l’allegra festa che si celebra, nella tradizione cattolica, prima dell’inizio della Quaresima.
Etimologicamente la parola CARNEVALE deriva dal latino “carmen levare”, popolarmente tradotto “carne-vale” o “carnasciale”, perché anticamente indicava il banchetto di abolizione della carne che si teneva subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.
Il CARNEVALE rappresenta da sempre una festa del popolo. E’ un momento in cui ogni gerarchia decade per lasciare spazio alle maschere, al riso, allo scherzo. Lo stesso mascherarsi rappresenta un modo attraverso il quale uscire dal quotidiano, disfarsi del proprio ruolo sociale, negare se stessi per divenire altro.
Le prime manifestazioni che ci ricordano il CARNEVALE nel mondo risalgono a quattromila anni fa.
Gli Egizi, come precedentemente accennato, fin dai tempi delle dinastie faraoniche, furono i primi ad ufficializzare una tradizione carnevalesca, con feste, riti e pubbliche manifestazioni in onore delle dea Iside, che presiedeva alla fertilità dei campi e simboleggiava il perpetuo rinnovarsi della vita.
Il CARNEVALE greco veniva celebrato, invece, in varie riprese, tra l’inverno e la primavera, con riti e sagre in onore di Bacco, dio del vino e della vita.
Le “Grandi dionisiache” dal tono particolarmente orgiastico, si tenevano tra il 15 marzo e il 15 aprile, mese di Elafebolione, in Atene, e segnavano il punto culminante del lungo periodo carnevalesco.

venerdì 1 febbraio 2008

STORIA DELLE FOIBE

La strage dimenticata


Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle voragini dell’Istria che fra il 1943 e il 1947 sono gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani.

La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano “nemici del popolo”. Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. Lo racconta Graziano Udovisi, l’unica vittima del terrore titino che riuscì ad uscire da una foiba. È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce.
Nel febbraio del 1947 l’Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l’Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignora: non suscita solidarietà chi sta fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell’URSS, in cui si è realizzato il sogno del socialismo reale. La vicinanza ideologica con Tito è, del resto, la ragione per cui il PCI non affronta il dramma, appena concluso, degli infoibati. Ma non è solo il PCI a lasciar cadere l’argomento nel disinteresse. Come ricorda lo storico Giovanni Sabbatucci, la stessa classe dirigente democristiana considera i profughi dalmati “cittadini di serie B”, e non approfondisce la tragedia delle foibe. I neofascisti, d’altra parte, non si mostrano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della seconda guerra mondiale nei territori istriani. Fra il 1943 e il 1945 quelle terre sono state sotto l’occupazione nazista, in pratica sono state annesse al Reich tedesco.

Per quasi cinquant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica avvolge la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane. È una ferita ancora aperta “perché, ricorda ancora Sabbatucci, è stata ignorata per molto tempo”.

lunedì 28 gennaio 2008

LEGGE SULL'ABORTO: SI AUSPICA UNA REVISIONE!!!

Sono passati trent'anni da quando è stata approvata, eppure la legge 194 torna ad essere al centro di polemiche e discussioni da parte del mondo politico e cattolico. La 194, entrata in vigore nel 1978, tratta un tema delicato: la legalizzazione dell'interruzione volontaria di gravidanza. Per questo è conosciuta da tutti, anche se in modo non del tutto corretto, come "legge sull'aborto".
La legge, tra le altre cose, ha sancito la non punibilità dell'interruzione di gravidanza: è possibile effettuarla entro i primi tre mesi di gestazione qualora sussistano reali motivazioni, senza essere perseguibili penalmente. Nei primi giorni del 2008, però, si è riacceso il dibattito, in seguito all'approvazione da parte dell'Onu della moratoria della pena di morte.

COME E' NATA LA DISCUSSIONE

La polemica sulla legge 194 è partita dal mondo della politica e della Chiesa. Il Giornalista Giuliano Ferrara, direttore de "Il Foglio", ha sostenuto che la legge 194 dovrebbe essere sospesa e riveduta.
Questa opinione è stata ripresa da alti prelati, come il cardinale Camillo Ruini, vicario del Papa, e da Angelo Bagnasco, presidente della ommissione episcopale italiana.
Il cardinale Ruini, più che una vera e propria modifica, invita soprattutto ad applicare la legge integralmente, anche nelle parti che intendono difendere la vita: i consultori dovrebbero cercare con tutti i mezzi di tutelare il diritto del feto a venire alla luce.



OPINIONI DI DONNE IN POLITICA

L'eurodeputato, Adriana Poli Bortone, sull'idea del Cardinale Bagnasco

Adriana Poli Bortone, eurodeputato del Gruppo Uen al Parlamento europeo e coordinatore di Alleanza Nazionale in Puglia auspica la revisione della Legge n. 194/78 sulla interruzione volontaria di gravidanza.

In seguito alla posizione espressa in questi giorni dall'Arcivescovo di Genova e presidente della Cei Mons. Angelo Bagnasco e alla riapertura del dibattito sul tema, Adriana Poli Bortone chiede una revisione della legge sull'aborto.
"E' del tutto condivisibile la posizione del cardinale Bagnasco sulla revisione della Legge 194 - spiega - una legge per certi versi ipocrita e chiaramente frutto di compromesso politico. Uno di quei compromessi impossibili perché nella vita umana come diritto indisponibile si può solo credere o non credere. Noi, che ci crediamo da sempre, siamo convinti che sia ora di mutare una legge fortemente datata, che nel suo articolo 1, di principi, sembrerebbe voler tutelare la vita, autorizzando, poi, di fatto, il ricorso ufficiale all'aborto. Ha ragione, dunque il cardinale Bagnasco che invita all'aggiornamento della legge tenendo conto dei passi fatti dalla scienza negli ultimi trent'anni. La vita non è bene negoziabile e dunque è più che opportuno il richiamo di Benedetto XVI alla sacralità della stessa: un tema rispetto al quale le sensibilità sociali di oggi potrebbero essere più avanti della politica.
In Parlamento - continua Adriana Poli Bortone - parlare di modifica della 194 significa toccare un tabù. Non sarebbe male allora misurare la risposta della società italiana odierna ad un tema che investe trasversalmente laici come Ferrara e cattolici, con gradi di sensibilità oggi ben diversi da quelli degli anni Settanta ed Ottanta. Il referendum sulla 194 sarebbe un modo per cominciare a stabilire un dialogo reale con la società di oggi sui temi etici, quelli sui quali il Parlamento ed il Governo non riescono a dare risposte, arroccati come sono nelle loro forze fatte di numeri e di maggioranze incerte, più preoccupati - conclude - di salvare una finanziaria che di salvare una vita".


Giorgia Meloni, vicepresidente della camera, stavolta parla da leader dei giovani di AN e spiega perché, «da laica», sostiene la proposta lanciata da Giuliano Ferrara e firma un documento in cui chiede che AN si pronunci.



Onorevole Meloni, la convince la campagna foglista? «Sì, perché ha rotto il tabù per cui dire una sola parola sulla 194 equivale a un crimine».

Lei la vuole abolire la 194? «No, la voglio cambiare senza incorrere nel reato di lesa maestà».


Se la sua migliore amica le dicesse che deve abortire... «... la scongiurerei di non farlo. E se capitasse a me non lo farei. Per noi di Azione giovani la vita va difesa dall’embrione alla morte naturale».

Perché non chiede l’abolizione della 194, allora?«Perché ritornare alla clandestinità sarebbe ancora peggio, e il problema non si risolverebbe».

E invece?«Se si prende atto che un embrione è portatore di un Dna unico e irripetibile si cambierebbe modo di pensare».

Siete giovani ratzingeriani? «No, questo avviene indipendentemente dalle posizioni della Chiesa, è un’opzione di buonsenso laico, direi».


È contraria alla contraccezione, come i giovani di Cl? «No, affatto. Ma credo che serva una battaglia per evitare che l’aborto sia considerato un metodo anticoncezionale».

In che va cambiata la 194? «Serve una legge organica di incentivo alla maternità, ne ho scritta e depositata una firmata da tutta An».


Quindi anche più soldi ... «Sì, e molti. Ma non solo: penso a dei consultori che funzionino, e che siano un luogo di tutela della vita».


Il che tradotto significa? «Che vai lì e ti danno tutto l’aiuto possibile per riuscire a diventare madre. L’aborto dovrebbe diventare la soluzione ultima e meno praticata».

E poi? «Provo a infrangere altri due tabù: il primo è l’uomo».

Ovvero? «Il padre non può essere addirittura inconsapevole di quel che accade».

Vuole che abbia un peso decisionale? «No, mi basterebbe che fosse vincolato a un parere consultivo, e lo dico da donna».

Crede che cambierebbe qualcosa? «Lo dico così: se negli ultimi 30 anni la scelta l’avessero fatta 4 milioni di coppie e non 4 milioni di donne sole, credo che non avremmo mai avuto 4 milioni di aborti».

Rinuncerebbe alla sovranità della donna? «No, l’ultima parola spetterebbe sempre a lei».

Il secondo tabù? «L’errore di interpretazione per cui si è sempre pensato alla donna come soggetto debole. Il soggetto debole è l’embrione, che non ha nessuna possibilità di difendersi».

Molte madri non hanno mezzi per mantenerli, quei futuri bambini. «Ma se quei bimbi nascessero ci sarebbero famiglie pronte ad adottarli. Siccome per me la vita è sacra, ne varrebbe comunque la pena».


AG PRESICCE INVITA I SUOI GENTILI VISITATORI AD UN PACIFICO DIBATTITO, PERCHE' CHIUNQUE POSSA SENTIRSI LIBERO DI APPORRE IL PROPRIO PARERE O CHIEDERE DELUCIDAZIONI RIGUARDO L'IMPORTANTISSIMO TEMA.

Francesca Micoccio

giovedì 24 gennaio 2008

ACTA EST TRAGEDIA!!!


PRODI TORNA A CASA COL SUO PICCOLO FARDELLO!!!
...156 i voti favorevoli, 161 quelli che lo hanno mandato a casa...

lunedì 21 gennaio 2008

"LEADER UDEUR: ESPERIENZA FINITA. SI AVVICINA LA CRISI DI GOVERNO. PRODI DIMISSIONARIO GIA' STASERA."

ROMA
"L’Udeur di Clemente Mastella lascia la maggioranza. Al termine di una lunga riunione dell’ufficio politico del suo partito, il leader del Campanile annuncia che l’esperienza del centrosinistra «è finita».

L’ex guardasigilli premette di aver avuto un colloquio telefonico con il presidente del Consiglio Romano Prodi e poi chiarisce: «Lasciamo la maggioranza, l’esperienza di questo centrosinistra è finita». «Ringrazio Prodi - aggiunge Mastella - il rapporto umano rimane e rimarrà sempre, ma l’esperienza politica del centrosinistra è conclusa».

Dunque anche il passaggio dell’appoggio esterno al governo è superato e «se ci sarà da votare sulla fiducia voteremo contro». «Noi siamo per le elezioni - spiega - non è una prerogativa nostra ma del Capo dello Stato, ma noi siamo per andare a votare». «Prendo atto della mancata solidarietà di amici e alleati - argomenta Mastella - oggi dico basta e mi riprendo la mia autonomia di uomo e di politico».